Adolf Hitler ed Eva Braun, un amore estremo

Le nozze furono celebrate alle due di notte, sotto terra in un bunker, al riparo dalle bombe. E non con lo champagne, ma con il cianuro. Lei, 33 anni, con un abito lungo di taffetà nero e una rosa nera di stoffa nella scollatura. Lui, 56 anni, elegante, ma ormai devastato nel fisico dal Parkinson e nell’anima, dal suo tracollo politico.

Si tratta di Eva Braun e Adolf Hitler che, nello stesso giorno, il 30 aprile del ’45, si uniranno in matrimonio e partiranno per il loro unico viaggio di nozze. Verso la morte. Come ricorda Laura Laurenzi, nel suo Amori e furori (Bur).

“Lo sposo – si legge nel libro- ingoierà una capsula di veleno e subito dopo si sparerà alla testa; la sposa, accanto a lui sul sofà, le belle scarpe italiane con i tacchi alti allineate sul pavimento, lo precede di un paio di minuti, spezzando la fialetta di cianuro sotto la lingua”. I corpi vengono avvolti dai fedelissimi in due coperte militari e trascinati su, nel giardino della Cancelleria. Poi, come ordinato da Hitler cosparsi di benzina, duecento litri, e dati alle fiamme. “Non farò la fine di Mussolini”. Aveva detto. Non voleva che si infierisse sul suo corpo.

Così ebbe fine uno dei peggiori incubi che la storia dell’umanità abbia mai vissuto e la storia “d’amore” tra la Braun e il Fuhrer. Anche se per i due non si può parlare d’amore. La coppia si consolidò con la fine del Terzo Reich. Allora Hitler, in preda alle sue manie persecutorie, si fidava solo di Blondie, una femmina di pastore alsaziano, e di Eva, cui “regalò” le nozze come premio fedeltà.

Eva, romantica, piena di sogni e non come si è spesso dipinta, dissoluta e intrigante, pende dalle labbra del capo della Germania. “Accetta tutto – scrive Laurenzi- piega la testa, si mette subito in ginocchio: il suo è un cuore semplice e sottomesso. Tenuta nell’ombra, si contenta di poco. Le piacciono i bei vestiti, il lusso, le scarpe devono essere italiane, ama gli argenti, le porcellane pregiate, i suoi cagnolini di piccola taglia. Ama i film americani e i dischi di jazz.

Quando compie 23 anni Hitler le regala un’agenda. Su una pagina del suo nuovo diario Eva scrive questa domanda: “Io sono felice?”

E in effetti, non sarà stato facile stare accanto ad un pervertito che, sempre secondo fonti ufficiali, aveva perversioni che oscillavano tra sadismo, masochismo, escretofilia. Molte delle sue depravazioni, pare, avessero origine da una precoce infezione di sifilide contratta, giovanissimo da una prostituta ebrea a Vienna. Inoltre, l’autopsia sul suo corpo rilevò l’assenza del testicolo destro. Nonostante questo il suo letto brulicava di donne su cui sfogava le sue depravazioni. Donne che nella maggior parte dei casi, morirono per mano propria.

Gli fu legata Winifred, nuora di Wagner, nazista della primissima ora. Renate Muller, spinta nelle sue braccia dal suo amante, Mimi Reiter, il primissimo amore dimenticato, Inge Ley, Unity Mitford, Suzy Liptauer.

Ma la sua ossessione fu Geil Raubal, figlia della sua sorellastra. L’unica donna che il Fuhrer abbia veramente amato. Lei ha 17 anni. Il rapporto, fu sempre più serrato, morboso e ambiguo. Dopo sei anni Geli, innamorata di un ebreo, venne trovata morta.

Dunque, la sola che gli rimase accanto sino alla fine, quando le sue fobie si moltiplicarono e tra queste c’erano anche l’orrore per il contatto fisico, l’impulso a lavarsi di continuo (riscontrate quando era ancora un ragazzo) fu Eva. La remissiva, che aveva fatto i suoi piccoli studi dalle Suore Inglesi di Monaco e poi si era iscritta all’Associazione delle Figlie di Maria, con un padre maestro elementare, severissimo e mamma casalinga.

Sedici anni accanto ad Hitler. In attesa di un premio grande, le nozze, che arrivarono il giorno della sua morte. Non avrebbe mai immaginato che dopo alcuni anni dal loro primo incontro sul diario avrebbe scritto: “Perché il diavolo non mi porta via? Con il diavolo starei meglio che qui”.

Era l’ottobre del 1929 quando si conobbero. Eva aveva 17 anni e faceva la commessa, e qualche volta anche la modella a duecentocinquanta marchi al mese. Nel negozio di Heinrich Hoffmann, il fotografo personale del Fuhrer.

“Quella sera- racconta Laurenzi- dopo l’orario di chiusura è arrampicata su una scaletta a mettere in ordine una fila di classificatori, quando sente pesante e caldo uno sguardo maschile che le avvolge le gambe. Si volta lentamente e vede un uomo di una certa età, con dei buffi baffetti, un soprabito chiaro di stile inglese e un gran cappello di feltro in mano. Cosi lo descriverà alla sorella Ilse. La giovane commessa arrossisce, è a disagio. Proprio quel giorno avevo accorciato la gonna, mi sentii imbarazzata perché non ero sicura di aver rifatto bene l’orlo”.