L’amore mitologico di Eco e Narciso

“Per caso il fanciullo, staccatosi dal gruppo dei suoi fedeli amici, aveva detto: Chi è qui vicino?

E’…..vicino. Eco aveva risposto Narciso, stupito, in ogni luogo rivolge lo sguardo e grida con voce: Vieni! E lei richiama chi l’ha chiamata. Lui si guarda intorno e nessuno ancora si avvicina. Perché, chiede allora, mi sfuggi? E sente in risposta le sue parole. E lei stessa segue le sue parole e uscita dal bosco corre ad abbracciare il suo sperato amore. Egli sfugge e fuggendo: “Togli, grida, le mani. Non voglio abbracci. Meglio morire che abbandonarmi a te.

Lei risponde soltanto…. abbandonarmi a te. A questo punto, disprezzata, respinta da colui che tanto ama, Eco si nasconde nei boschi piena di vergogna, e da quel momento vive in antri isolati, pur serbando dentro di sé l’amore che anzi cresce col rifiuto. Comincia a rinsecchirsi per la sofferenza, a smarrire nell’aria tutti i rumori del corpo, fino al punto che restano solo voci e ossa. Da allora, ella vive nascosta nei boschi senza che nessuno possa vederla. Ma tutti la possono udire. Di fronte ai ripetuti rifiuti di Narciso, si leva una voce ad implorare una punizione per il giovane superbo. “Possa anche lui innamorarsi e non possedere chi ama” E Nemesi, la dea personificazione della giustizia divina, accoglie l’invocazione.

Un giorno, stremato dalla stanchezza della caccia, sua passione, e dal caldo, il bel giovane si getta a terra, vicino una fonte pura, dall’acqua limpida. Mentre si avvicina alla superficie dell’acqua per dissetarsi, vede un’immagine, la sua, di cui si innamora perdutamente. Crede che si tratti di una persona in carne ed ossa. Disteso a terra, Narciso ammira i suoi occhi e comincia a desiderare se stesso. Arde d’amore. Il ragazzo, dunque, è vittima di un’illusione. Continua a tendere le braccia verso l’immagine che, è ovvio, non si fa catturare. E così egli si consuma d’amore.

“Le sofferenze- scrive Umberto Curi nel suo libro Miti d’amore (Bompiani) che riporta la storia- il suo languore, il suo consumarsi d’amore, scaturiscono da un duplice inganno: non soltanto è solo un riflesso, ciò che egli vede di fronte a sé, ma quel riflesso gli restituisce la sua stessa immagine. Narciso si consuma insomma di amore per un altro, non riuscendo a comprendere che quel volto, quegli occhi, quei capelli, quel collo gli appartengono”.

Dunque, il mito di Eco e Narciso non è solo la metafora di un amore rivolto a sé. Di un “autoriferimento della libido a se stessi”, come voleva Freud. La storia va ben oltre. E potrebbe rappresentare l’impossibilità di stabilire una relazione con l’altro da sé, dunque, di essere riconosciuto, e costruirsi la propria identità. Ma anche di amare.

I due non riescono a raggiungersi. “La ricerca dell’altro- continua Curi – col quale guarire dal proprio essere solo parti, non potrà mai conseguire il suo scopo”. Nel mito Eco non può parlare, è pura alterità, esiste solo come immagine della propria voce, non ha una solida e autonoma identità per andare incontro a Narciso. Il ragazzo, pura identità, vede l’altro, ma solo come proiezione del proprio sé. In questa inibizione, meglio, implosione della dinamica erotica, l’amore agisce come una combustione interna per la quale il fuoco della passione, impossibilitato ad esprimersi finisce per consumare chi ne sia posseduto, e dunque, a trasformare l’amore da farmaco benefico ad elemento intossicante.