Martin Heidegger e Hannah Arendt

Sbilanciato e a tutto vantaggio di Martin Heidegger è il rapporto del grande filosofo, autore di Essere e Tempo con la sua allieva, Hannah Arendt, studiosa dei regimi totalitari e autrice di Vita Activa e la Banalità del male. Tanto che l’intellettuale ebrea un giorno dirà “perderei il mio diritto alla vita se perdessi il mio amore per te”, nonostante per anni venga costretta a nascondersi dal suo amante, diventato simpatizzante del nazismo.

Quando si incontrarono, nell’autunno del ’74 Martin Heidegger ha 35 anni e due figli. Le sue lezioni di filosofia all’Università di Marburgo, sempre e solo di mattina presto, sono gremite di discepoli adoranti. Tra questi c’è muta, soggiogata, timidissima la studentessa, che diventerà la sua amante. Una ragazza prodigio che a 14 anni ha già letto la Critica della ragion pura, conosce Kierkegaard e a 16 anni ha fondato un circolo per lo studio della letteratura antica.

Dopo alcune lezioni si innamorano, e la fragile ragazza precipita in una storia che la vedrà sempre dipendente, remissiva. Si incontreranno sempre e solo quando lo deciderà il professore, per evitare scandali e soprattutto per non rovinare il rapporto con sua moglie, la terribile Elfride, nazista, gelosa di qualunque intrusione minacciasse la tranquillità e la carriera del filosofo.

Lei è pura e semplice, dagli occhi profondi, dal fiuto per la qualità, molto profonda. Aveva perso il padre presto, colpito dalla sifilide. La mamma si era risposata, aveva avuto due figlie che Hannah non amava. Una di queste si suiciderà nel ’30. Lui sempre imponente, dal carisma folgorante, molto colto. Era figlio del bottaio e sagrestano del paesino Messkirch, nell’alta Svezia. Prima seminarista, lascia il noviziato per darsi alla filosofia. A colpire erano i suoi occhi, splendenti e acuti.

Comincia un amore clandestino, in cui Hannah sarà sempre docile. E anzi timorosa di mostrare il suo talento, per timore reverenziale nei confronti di quello che rimarrà il suo maestro.

Tutto comincia il 10 febbraio del ’25 quando Heidegger manderà alla sua allieva una lettera, ben studiata. Con la quale le chiederà “una sola cosa”, che gli permetta di “aiutarla a rimanere fedele a se stessa”. E nei suoi incontri d’amore lui parla, pontifica di filosofia, letteratura, poesia, musica. Vola da Parmenide, a Bach, da Platone a Beethoven, da Eraclito a Rilke e a Thomas Mann. Lei ascolta , assorbe in silenzio. Spiccherà il volo quando lui la lascerà.

Le prime avvisaglie della crisi arrivano ad un anno dalla loro storia d’amore. Forse la moglie ha capito qualcosa, o Hannah è diventata troppo invadente. Heidegger decide di allontanare l’amante e di affidarla a Karl Jaspers, all’Università di Heidelberg, suo amico, con cui Hannah terminerà il dottorato di ricerca su Sant’Agostino. Si scriveranno, si manderanno, doni, foto. Intanto lei, lacerata dall’abbandono, sposerà un ebreo Gunther Stern. Siamo nel settembre del ’29. Andranno a vivere prima a Berlino, poi a Francoforte, poi di nuovo a Berlino. Nel ’33, l’anno del plebiscito ad Hitler, si lasceranno. Hannah capirà di non avere altra via di salvezza se non la fuga.

Il filosofo sotto il nazismo fa tanta strada all’Università. Pensa che solo Hitler avrebbe fatto risplendere e risollevato la Germania. “A Jaspers che gli aveva chiesto come un uomo come Hitler, privo di cultura, potesse governare la Germania, Heidegger aveva risposto che la cultura non c’entrava. Piuttosto, l’ascesa al potere era dovuta a come il Fuherer muoveva le mani.

Hannah è sempre più confusa e comincia a vedere nel suo ex amante una persona sempre più falsa. La filosofa troncherà ogni rapporto con il maestro, quando questi non le saprà dare spiegazioni sui suoi atteggiamenti antisemiti.

Oramai separata dal marito e braccata dalle leggi razziali, Hannah va ad abitare a Parigi. Sposerà Hienrich Blucher, anche lui profugo tedesco che le dedicherà un amore paziente e incondizionato.

Alla caduta di Hitler i due ex amanti torneranno a vedersi. Ma il legame sarà ambiguo. Opportunista. Per il professore che, con l’aiuto della moglie, una donna fredda e intransigente, chiederà l’aiuto della filosofa ebrea per uscire dall’isolamento. Heidegger, era stato processato per collaborazionismo. I due figli erano prigionieri in Unione Sovietica. Per questo, colpita nel profondo l’autrice di Vita Activa aiuterà il suo professore. Si incontreranno nell’albergo di lei il 7 febbraio del ’50. Allora, lui ammetterà la colpa del proprio silenzio, non verso gli ebrei, ma nei confronti della sua amata.

Da allora comincia una relazione a tre. Gli incontri vengono fissati da marito e moglie e serviranno al filosofo per togliesi di dosso l’alone di nazista. Ormai l’ex allieva è diventata una filosofa ricercata dalle migliori università americane del mondo. E nonostante questo, sempre con l’atteggiamento supino e soggiogato, timido di fronte al suo ex amante, a cui nasconderà il successo delle sue pubblicazioni.

Nel marzo del ’49 Heidegger viene “denazificato”. Il processo lo definirà solo “simpatizzante”. Dunque nessuna misura punitiva. Riprenderà a fare lezione nel ’51 grazie alla Arendt, che da ebrea, non avrebbe potuto avere rapporti col professore se fosse stato un attivista del nazionalsocialismo. Heidegger le sarà riconoscente, ma la allontanerà da sé di nuovo, quando non le sarà più utile. Intanto Hannah si farà in mille per divulgare il pensiero del suo maestro, si farà sua ambasciatrice nel mondo, soprattutto negli Stati Uniti, gli farà da consulente globale, agente letterario, sempre a titolo gratuito.

Rimarranno lontani dal ’52 al ’67 e ancora una volta per scelta di lui. Gli ultimi incontri diventeranno sempre più freddi alla presenza dei coniugi di entrambi. Si vedranno ogni anno e si scambieranno lettere sempre più “spirituali”.

Nel dicembre del ’75 vedova da cinque anni, Hannah ripresasi da una caduta, muore nella sua casa di Manhattan mentre prende un caffè. Un infarto. Lui, sempre più dipendente dalla moglie, le sopravviverà di cinque mesi.