ANTROPOLOGIA DELL’AMORE

Eros e culture, Dino Burtini

Il mistero dell’attrazione appare insondabile, ma chi di voi non ha provato almeno una volta nella vita l’incanto dell’amore, l’innamoramento, la passione? Si tratta di un’esperienza così universalmente diffusa che sfugge a qualunque definizione: ”Amore, impossibile a definirsi!” direbbe Giacomo Casanova. Il testo affronta uno dei nodi essenziali della riflessione e dell’esperienza esistenziale dell’umanità, esso esplora il sentimento amoroso nei diversi contesti culturali analizzati personalmente dall’autore attraverso la ricerca sul campo e l’esame delle fonti.

L’amore è una chiave perfetta per cogliere i dati fondamentali di una cultura, perché esso interessa la sfera più profonda della personalità umana. Il lavoro è una descrizione attenta e intrigante dei comportamenti umani relativi alla vasta sfera dei modi di agire, individuali e sociali, legati all’amore (le feste della pubertà, i rituali dell’unione, il corteggiamento, l’adulterio, la sessualità, l’eros), sentimento che coinvolge sempre e inevitabilmente l’intera complessità dell’individuo, dal piano biologico a quello psichico, a quello intellettuale, a quello etico. Aspetti che vengono analizzati in chiave comparativa mettendo a confronto la realtà occidentale ed europea in particolare con quella dei popoli di interesse etno-antropologico. L’autore si muove alla ricerca delle modalità con cui l’amore si manifesta e soprattutto si ritualizza, nella mentalità (cioè nei valori) e nei comportamenti di altre culture, ricorda come amore e sessualità contengano emozioni e significati psicologici e antropologici che sono il prodotto, a volte conflittuale, di pulsioni naturali frammiste ad esperienze sociali, morali e religiose. L’amore e l’eros diventano veicolo di relazione e scambi comunicativi tra gli uomini.

Dino Burtini è psicologo e antropologo, insegna Sociologia dei processi culturali e Antropologia interculturale presso l’Università di Chieti-Pescara. Formatore e teatroterapeuta, dirige un Istituto di Alta Formazione e una Scuola di Specializzazione in Psicoterapia. Nel corso del suo lavoro di ricerca, ha incontrato l’eccezionale magistero di Cecilia Gatto Trocchi (alla quale il testo è dedicato) che gli ha trasmesso la passione, oltre che gli strumenti metodologici, degli studi antropologici che lei stessa aveva saputo apprendere alla scuola di Claude Lévi-Strauss. Durante la sua esperienza di studioso e nell’ambito dei suoi interessi psico-antropologici, ha svolto indagini sul campo in Europa, Africa, India, Centro e Sud America, poi raccolte in diverse e fortunate pubblicazioni. Per i tipi della Bulzoni ha già pubblicato ”In principio Dio creò i Masai”.

I diritti d’autore saranno devoluti al recupero del patrimonio storico e culturale della città dell’Aquila.

La complessità del sentimento amoroso

Gli amori degli uomini rappresentano un campo d’indagine solo recentemente messo a fuoco dalla ricerca scientifica, che sta scoprendo ciò che poeti e narratori (anche primitivi) sapevano da tempo immemorabile. Come ogni altro fenomeno umano l’amore può essere descritto, non mai compreso nel suo insondabile mistero, attraverso la teoria della complessità. L’essere umano ha vari livelli di complessità fra loro intersecati.

Il primo livello è quello biologico di per sé estremamente complesso, come ben sa chi studia anatomia e fisiologia. Il corpo dell’essere umano rappresenta un mondo di connessioni e di interrelazioni che emergono più chiaramente all’esperienza comune nelle situazioni patologiche. La realtà fisica è a sua volta proiettata nella sfera psichica che registra l’immagine del corpo e intrattiene una serie di relazioni con l’intelletto, la mente, la volontà, la sensibilità, l’emozione, le sensazioni.

La realtà psichica, cioè il secondo livello, rappresenta a sua volta un campo di difficile comprensione, in cui si intersecano sia gli elementi biologici che gli elementi mentali e psichici. Nell’amore tale connessione psico-fisica è evidentissima. L’innamorato nel vedere la persona amata si sente battere il cuore tumultuosamente, arrossisce ovvero impallidisce, non riesce ad esprimersi correttamente perché le parole trovano difficoltà ad essere emesse, talvolta è sottoposto a improvvisi sudori come bene sa Mozart quando fa cantare: «Non so più cosa io son, cosa io faccio – ora avvampo, ora sono di ghiaccio…»

Il terzo ambito della realtà umana è quello socio-culturale, che influisce sugli altri due ed è da essi, a sua volta, fortemente condizionato. La dimensione socio-culturale implica il vasto e intricato campo delle relazioni. A nessuno può sfuggire che l’amore sia fondato su una relazione: anche nel linguaggio comune si dice che due persone hanno “una relazione amorosa”, si parla di “rapporti erotici e sessuali”, si considera quindi in maniera assolutamente indiscutibile l’aspetto relazionale della dimensione amorosa. Mentre nelle culture tradizionali tutto questo è ampiamente rappresentato nei numerosi rituali legati all’arte di amare, nella nostra civiltà si tende continuamente a privilegiare di volta in volta uno di questi livelli della complessità irriducibile dell’essere.

Con puntualità sconcertante ogni due o tre anni arrivano ricerche fatte da fantomatiche università oltreoceano in cui si stabilisce la cosiddetta chimica dell’amore, si stabiliscono gli elementi fisici o addirittura ormonali che sarebbero alla base del processo d’innamoramento umano. Tali ricerche tendono ad appiattire la complessità irriducibile di ogni fenomeno umano e sociale. D’altro canto, talvolta si sopravvaluta l’aspetto esclusivamente psico-sentimentale soprattutto nella cultura diffusa di basso profilo, in cui si confonde facilmente il piano erotico con quello dell’amore e si ignora la problematica delle relazioni. Solo recentemente infatti l’aspetto socio-culturale dell’amore è entrato nella visione interpretativa di questo vasto ed eterogeneo fenomeno.

Le nostre riflessioni non vogliono certo scoprire perché ci si ama: l’amore resta un misterium magnum; si può solo descrivere e analizzare come ci si ama. Vedremo che i condizionamenti socio-culturali dell’eros sono in realtà aspetti in qualche modo superficiali che colpiscono fortemente l’immaginazione, ma che in realtà, rimandano ad un fondamento generalizzato che accomuna la specie umana in una dimensione assai composita.

Un altro aspetto del riduttivismo della nostra cultura è la supervalutazione dell’aspetto sessuale. Si parla di educazione sessuale in tutti gli ambiti e si occulta volutamente, per motivi ideologici, la necessità dell’educazione sentimentale. Gli autori e gli studiosi che si sono occupati dell’amore hanno sempre universalmente riconosciuto la complessità dell’arte di amare. Ovidio scrive un trattato considerato ai suoi tempi molto audace, che dispiacque ad Augusto, intitolato L’arte di amare. In tempi molto più recenti Erich Fromm ha anch’egli scritto L’arte di amare (1956), ampiamente ristampato al punto di diventare un best seller. L’opera di Fromm sembra essere una risposta implicita e puntuale a ciò che nel 1955 aveva scritto Herbert Marcuse nel famigerato testo Eros e Civiltà, che risulta essere un’apoteosi delle interpretazioni freudiane dell’eros. Fromm evidenzia, come molti secoli fa Ovidio, che l’amore è un’arte nel senso più nobile della parola, in quanto nella sua forma matura l’amore implica fede, attività, umiltà, coraggio. Virtù che possono nel mondo umano essere apprese con l’infinita pazienza e l’incessante pratica attiva che esige una continua costruzione e una continua volontà positiva che tende verso il bene per sostenere la relazione amorosa che obbedisce alla grande legge della reciprocità e della gratuità.

L’antropologia culturale non può che sottolineare come la legge universale delle culture umane sia la legge della reciprocità, legge che Claude Lévi-Strauss aveva identificato nella dinamica culturale generalizzata e che è la regola che presiede alle operazioni di scambio. Gli esseri umani, configuratisi in comunità fin dalle origini stesse della specie, hanno basato le loro relazioni sullo scambio che deve essere a sua volta diretto dalla reciprocità. Lo scambio è a fondamento di almeno tre aspetti socio-culturali; lo scambio di messaggi nell’ambito della comunicazione attraverso il linguaggio, lo scambio di beni economici attraverso la complessa elaborazione dei sistemi di produzione e di distribuzione e infine, lo scambio dei membri di un clan o di un villaggio attraverso l’altrettanto complessa elaborazione delle alleanze matrimoniali.

Claude Lévi-Strauss nel suo testo Le strutture elementari della parentela ha verificato e interpretato la complessa modalità dello scambio delle giovani partner nelle società tradizionali ove vige il tabù dell’incesto, che vieta di sposarsi all’interno del nucleo familiare, altro non sarebbe che il rovescio della medaglia dell’obbligo allo scambio. Se un fratello e una sorella si sposassero tra di loro il gruppo resterebbe di due persone, se al contrario il fratello dà come moglie sua sorella a un uomo di un villaggio vicino il gruppo diventa di almeno tre. Allo stesso modo se egli prende come moglie una donna al di fuori del clan, il gruppo diventa di almeno quattro persone. Se questo si moltiplica al livello di quattro fratelli e quattro sorelle, il gruppo diventa di sedici individui che possono collaborare in maniera sistematica e stabile a tutte le attività socio-culturali, attività a loro volta regolate da sistemi di reciprocità sanciti dalla tradizione.

L’amore è un’arte secondo la tradizione di moltissimi popoli. Secondo un mito dei Bacongo, all’origine dei tempi l’uomo e la donna vivevano in una sorta di Eden primigenio. La donna fu l’unica a resistere alla tentazione di infrangere il divieto che Dio, creatore di Nzambi, aveva posto dimostrandosi così la più forte. Ma Dio non trovava bene che essa fosse più forte dell’uomo, allora Nzambi tagliò la donna, ne tirò fuori le ossa facendola più piccina e più debole. Quando si mise a ricucirla il filo non era lungo abbastanza per cui dovette lasciare una piccola apertura nella pelle, del che la donna si mostrò assai scontenta. Piagnucolando andò dal suo compagno lamentandosi di questa sciagura. L’uomo per consolarla cominciò a pensare in che modo potesse ovviare al grave inconveniente. Alla fine ridendo scoprì come poteva fare e le disse: «Vieni qui ci penserò io, vedrai che non sarai più scontenta». Il resto si indovina da sé. In questa maniera l’uomo e la donna primigeni impararono a fare all’amore.

Secondo una tradizione sudanese l’uomo e la donna primigeni si recarono in una miniera di sale, presero il sale e si avviarono verso il villaggio, ma scoppiò un grande temporale e l’uomo disse alla donna: «Nascondi il sale lì dove sai tu»; e la donna così fece, ma durante la tempesta i due si persero di vista, la donna andò verso est, l’uomo andò verso ovest. Si persero e da allora tutti gli uomini inseguono le donne per poter riavere il sale originario che solo le donne simbolicamente conservano e nel punto più segreto e misterioso del loro essere, per questo l’uomo è attratto dalla donna, e la donna con lusinghe e con corteggiamenti cede e concede il sale della vita.

Il tabù supremo

La spiegazione del tabù dell’incesto come obbligazione a sposarsi fuori dal nucleo familiare risulta chiaramente dal comportamento dei popoli che emblematicamente hanno rappresentato il primitivismo: si tratta dei melanesiani. L’opera di Malinowski ha ampiamente descritto e interpretato l’amore e la vita sessuale tra i selvaggi. Tra i melanesiani il più rigoroso di tutti i tabù riguarda il divieto di incesto tra fratello e sorella: è il centro del tabù suvasova ed è considerato con orrore e nemmeno nominato.

Ci si riferisce a questo orrore con l’espressione gaga mokita “veramente cattivo”, ed è l’espressione somma della negatività. Fortissime restrizioni tabuiche vincolano il comportamento del fratello e della sorella. Nella grande casa degli uomini, una sorta di club dove i giovanotti e le ragazze si intrattengono per chiacchierare, amoreggiare, corteggiare, cantare, ballare, l’accesso è libero e indipendente. Ma se nel club c’è un fratello, la sorella non potrà mai entrare in esso, e dovrà anzi nascondersi lontano. Lo stesso accade se nel club c’è già una sorella, il cui fratello non potrà entrare finché la sorella non avrà terminato la sua attività di divertimento e quindi uscirà allontanandosi nel villaggio. Fratello e sorella non si possono salutare, non si possono parlare e non possono avere scambi affettuosi o di intimità in nessunissimo caso.

Questo comportamento, diffuso in tutta la Melanesia e in alcune tribù australiane, sta a indicare come il tabù primario sia nei riguardi della sorella proprio per preservare quest’ultima e poterla promettere in sposa a un uomo di un clan o addirittura di un villaggio diverso per poter stabilire sistematiche e continue relazioni di affinità. Non a caso si potrebbe dire che la civiltà e la cooperazione si fondano sui cognati; in tal senso il parente stretto, come la sorella o la cugina parallela, non può essere né toccato né sfiorato.

Quando i fanciulli arrivano all’adolescenza e mostrano i segni della maturità sessuale avviene una sorta di smembramento della famiglia: i fratelli e le sorelle vengono segregati separatamente in obbedienza al tabù rigoroso che svolge un ruolo fondamentale nella vita tribale. I bambini più grandi devono lasciare la casa per non ostacolare con la loro presenza la vita delle sorelle. Questa disintegrazione parziale del gruppo avviene con la partenza del ragazzo, che va ad abitare in una casa tenuta da scapoli o da parenti maschi vedovi o da amici.

Queste case sono chiamate bukumatula. A volte è la sorella che va ad abitare nella casa di qualche zia materna vedova o presso altri parenti. La casa riservata agli scapoli, oltre ad ospitare i fratelli che non devono avere più contatti con le sorelle, è una sorta di iniziazione informale all’amore e al matrimonio. All’interno della casa riservata agli scapoli vivono giovani e ragazze in una sorta di comunità provvisoria. In ogni villaggio tradizionale ci sono almeno cinque alloggi per scapoli, attualmente il loro numero è notevolmente diminuito sotto l’influsso della modernizzazione, che ha più volte in vari casi disintegrato le strutture primitive originarie. Oggi infatti nei villaggi della Melanesia i proprietari delle bukumatula le sistemano nella cerchia esterna del villaggio in mezzo alla foresta, in modo da essere meno evidenti.

L’arredamento interno è molto semplice. I mobili sono quasi tutti brande coperte da stuoia, dato che gli inquilini vivono durante il giorno in altre case e perciò tengono i loro arredi di lavoro in quelle. L’organizzazione elegge un capo che è il ragazzo più anziano che è anche il titolare del gruppo. All’interno vige un rigoroso decoro, in quanto gli inquilini non si concedono passatempi orgiastici, né guardano come si corteggiano o come amoreggiano altre coppie, tutto ciò è ritenuto molto disdicevole. In genere i ragazzi aspettano che siano tutti addormentati per amoreggiare tra loro, non esistono tracce di voyeurismo nel giovane medio e nemmeno tendenze all’esibizionismo.

I ragazzi e le ragazze che vivono nella casa degli scapoli non hanno un rapporto stabile, vivono insieme per attrazione personale, per passione o per innamoramento e si lasciano quando vogliono. Il fatto che, al momento giusto, da un rapporto provvisorio nasca una relazione permanente che finisce in un matrimonio, dipende da una complessità di cause che poco hanno a che fare con l’emotività. Vediamo in questa istituzione un rimedio al dilemma universale tra l’attrazione amorosa, l’innamoramento e la stabilità legale di un matrimonio, che sancisce una relazione istituzionale che coinvolge tutto il clan, il lignaggio, la famiglia estesa e la famiglia nucleare.

Proprio dalla tensione tra le passioni emotive volubili e governate dalle misteriose spinte di Venere e la necessità socio-culturale di relazioni stabili nasce l’istituzione della casa degli scapoli, che è una mediazione possibile in villaggi ristretti, ma che al contempo evidenzia come la tensione e talvolta la drammaticità tra le passioni e la necessità socio-culturale dei patti regolamentati tra uomo e donna siano sempre manifesti.

L’incontro nella casa degli scapoli non presuppone nessuna attività in comune che caratterizza d’altro canto il matrimonio, gli innamorati non consumano mai pasti insieme, non vivono l’intimità di aiuti reciproci o di servizi, mangiare insieme ad esempio, scandalizzerebbe notevolmente la suscettibilità morale di un indigeno e anche il suo senso della proprietà. Invitare una ragazza a cena senza averla prima sposata agli occhi di un trobriandese appare come disonorarla. I ragazzi non mangiano mai all’interno della bukumatula, ma per ogni pasto raggiungono i loro parenti e i loro genitori stando sempre attenti che non ci sia una sorella nei paraggi. Allo stesso modo, non esistono all’interno della casa degli scapoli forme di scambio che possano paragonare l’istituzione a un club di scambisti. Le coppie vivono l’amore insieme, ma in maniera disciplinata; non esiste in nessun caso scambio di partner. Un rigoroso decoro e l’assenza di qualsiasi manifestazione orgiastica e/o impudica è altresì caratteristica del comportamento all’interno della casa. I partner in ogni coppia, ancorché temporanea, appartengono l’uno all’altra in modo esclusivo.

La decenza e il pudore rappresentano la base comune dell’intera umanità quando si tratta di faccende d’amore. È falso pensare che i popoli primitivi non abbiano il senso del pudore, in quanto in realtà è esso che caratterizza e dà forma a tutte le relazioni di coppia. Le più note posizioni dell’amore sono altresì estremamente variabili da un contesto culturale all’altro. Si può dire che la prassi più generalizzata è il coito a tergo con la donna inclinata e l’uomo che si pone dietro di lei. Questa modalità permette la fecondazione in maniera più sicura e continuativa. Dobbiamo tenere presente che nelle società tradizionali il fine ultimo dell’unione è quello della fecondità e della fertilità, ancorché ovunque è apprezzato il soddisfacimento erotico ed emotivo attraverso l’amore.La posizione a tergo permette che il seme maschile raggiunga più facilmente il collo dell’utero femminile.

Tra gli australiani, fino alla Seconda Guerra Mondale, il rapporto veniva praticato all’esterno vicino agli alberi, in modo che la donna potesse appoggiarsi o addirittura abbracciare l’albero stesso. Non si tratta di nessuna forma di simbologia mitologica, è solo una questione di comodità. La posizione privilegiata dagli eschimesi è invece quella di giacere con la propria donna di fianco, in quanto anche i pesci utilizzano questa posizione e sembra ad essi la migliore modalità. La posizione frontale è abbastanza rara e talvolta considerata come debole. In tal caso sembra potersi applicare a questa posizione l’espressione toscana di “posizione angelica”. Tra i popoli della Tanzania esiste tutta un’arte dei movimenti della donna. Questa sorta di danza erotica durante l’atto si chiama digitiska ed è insegnata alle fanciulle dalle donne anziane, si tratta di una scuola che dura quaranta giorni. Tra questi popoli è grave offesa dire a una donna che essa non sa fare il digitiska.

Esiste anche una notevole variabilità nella conformazione degli organi sessuali tra le varie etnie. Gli africani e gli arabi sono in genere molto dotati, e alla loro vigoria corrisponde una maggiore apertura degli organi femminili.

La complessa ed elaborata attività erotica dei vari popoli dell’India si è tramandata dal famoso Kamasutra, un trattato in prosa e in versi dedicato all’arte di amare, nel quale viene proposta una tipologia estremamente varia delle regole sull’amore sessuale che riguardano sia l’uomo che la donna.

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I diritti d’autore saranno devoluti al recupero del patrimonio storico e culturale della città dell’Aquila

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