Rodolfo Valentino, il grande seduttore

Che cosa mi importa se egli mi ucciderà? Purché Rodolfo mi riconosca e mi stringa ancora una volta fra le braccia, come allora, morirò felice! Non gli chiedo che un bacio, un bacio solo e, poi, venga la morte!”

Questo ripeteva una sera ansimante Zulema, il primo amore dello Sceicco di Castellaneta, prima di bussare alla porta del suo ex amante, vicina a quella che condivideva con suo marito Jacinto Moreno nell’hotel California di San Francisco.  Una delle solite scene dei film strappalacrime con il bel Rudy? No, questa è storia vera. Una delle tante raccolte nel libro Intorno a Rodolfo Valentino, curato da Silvio Alovisio e Giulia Carluccio, edito da Kaplan.

In realtà, Zulema non era la solita attrice adorante, sospirante e gemente ai piedi dell’idolo dell’amore. No. Zulema, era una donna in carne ed ossa che quella sera cercava in modo disperato di rivedere il suo ex amante, dopo tanti anni, consapevole di essere inseguita dal geloso marito. Ma il magnetico Valentino sembrò non scomporsi più di tanto, perché alle scenate di isteria, gelosia, adorazione era abituato. Tante, tantissime, infatti, erano le donne che si “imbestialivano” al suo sguardo languido e sensuale. Deliravano per quello sguardo suggestivo. Eh, sì, perché quell’astro del cinematografo muto era nato per regalare sogni d’amore.

Di sé Rudy diceva (come si legge nel libro, ndr): “ Il fatto che egli comparisce davanti ai vostri occhi in una forma impalpabile ha qualcosa di misterioso che fa lavorare la vostra immaginazione”. E sul fascino delle donne? “Quasi tutti gli uomini – aggiungeva- hanno questa debolezza: riuscire simpatici alle donne. Confesso sinceramente che il mio tipo cinematografico è molto più stimato della mia persona”.

E a confortare questa sua convinzione, sempre nel libro, c’è un contributo di Matilde Serao, che spiega: “Quando Rodolfo Valentino, nel dramma, nella commedia prendeva nelle sue braccia la donna del suo amore e il suo volto si accostava a quello di lei, e le loro bocche si univano, in un bacio ineffabile, certo, un fremito assaliva le ignote donne della platea e molti occhi si velavano di lacrime di rimpianto o di desiderio, ma se l’uomo istesso, nella sua persona tangibile, si fosse avvicinato a qualcuna di loro, per prenderla in un abbraccio appassionato e darle quel bacio che vale qualsiasi altro forse maggiore segno di amore, costei sarebbe fuggita”.

Dunque, a trasformare il pubblico femminile in un folto gruppo di Baccanti di fronte allo Sceicco era solo il personaggio cinematografico. Contribuivano a renderlo seducente un corpo agile e aggraziato, un volto regolare, persino un leggero difetto di un occhio. Ma più di tutto, la consapevolezza della sua forza, della sua capacità di “rendere l’amore”. La sua vanità. “La vanità – diceva Rodolfo nelle sue Memorie – (racchiuse nel libro, ndr) è la scala con la quale l’umanità mira a raggiungere il sole dorato. Con le donne poi è indispensabile. Senza di essa difficilmente si riesce a conquistarle. Se c’è in voi la presunzione della sicura conquista, qualunque cosa accada riuscirà. Si è vanitosi senza accorgersene, così, naturalmente.

Gli uomini con le donne sono sempre vanitosi e bugiardi. Bugiardi graziosamente. E Rodolfo Valentino è, come tutti gli uomini, vano: più vano forse di tanti che sono vanitosissimi. Se fosse altrimenti non avrei i modesti successi artistici che ho”. E ancora: “Tutte le mie facoltà sono tese a parer bello, elegante, forte, espressivo, dolce, malinconico, triste allegro, forsennato secondo la parte che svolgo. E ciò che m’interessa è di piacere al pubblico. E questa è vanità”.

Ma chi era Rodolfo Valentino? In realtà il vero nome dell’amatore di folle era Rodolfo Alfonso Raffaello, Pierre Filibert Gugliemi di Valentina D’antonguolla. Era nato il 6 maggio del 1895 a Castellaneta Marina, in provincia di Taranto. La sua vita si rivelò presto avventurosa, ma non molto felice. Già da bambino, sognava “un amore pieno, senza esitazioni, senza dubbiezze – si legge nel libro – non sbocconcellato a poco a poco, ma subito goduto in tutta la veemenza bruciante della sua fiamma, pienamente goduto nell’incondizionata, spontanea offerta della donna amata”.

Il suo primo amore fu per una ragazza di diciassette anni, che morì presto colpita dal tifo. Seguiranno Bettina “che diede un sapore di gentilezza al romanzo clamoroso di Rudy, fornì l’unica nota di riposante dolcezza al divo, perseguitato dalla concupiscente folla delle donne ossessionate dai suoi occhi calamitanti”.

Maria, la dolcissima esile creatura amata a Castellaneta, che riamò a Venezia, dove Rodolfo imparò le arti di Casanova e il paludismo veneto impregnò il suo sangue pugliese. “E’ una febbre – si legge- che porterà per sempre e che gli orienterà la vita verso il disordine, l’incostanza, la turbolenza”.

Fu proprio nel capoluogo veneto che il protagonista di Sangue e Arena imparerà ad essere un mimo dell’amore, a ballare e ad essere idolatrato da folle di donne.

Ad alcune, desiderose di compralo e “imprigionarlo”, disse di no. E’ il caso di Miss X (non è mai stato svelato il nome, ndr) che Rodolfo conobbe in una jazz band di New York. Voleva possederlo e avvinghiarlo a sè col potere dei soldi. Ma non ci riuscì.

Pur avendo innato in sé il culto della famiglia e dei bimbi, Valentino non riuscì ad avere legami stabili. Due matrimoni che fallirono. Il primo dopo sei ore, con Jeanne Acker, gelosissima. Il secondo con Natacha Rambova, che a detta di molti, controllava fin troppo la vita professionale del marito e si indignava quando le parti affidate a Valentino erano di livello basso.

Nel libro si parla anche di Margarett Murray Scott, forse l’unica donna che abbia amato Rodolfo del più pazzo e del più disinteressato amore. Era semplicemente una della folla, la messaggera ignota della platea, una vedova, giovane e bella, che una volta riuscì ad eludere i controlli della Rambova. Prima della sua morte (1926), che addirittura spinse l’attrice inglese Peggy Scott, una sua amica a suicidarsi con un prodotto disinfettante, Rodolfo ebbe una storia con Pola Negri, attrice cinematografica polacca.

Nel ’27 a Londra si costituì un’associazione delle adoratrici del mito, che si proponeva di onorare e difendere la sua memoria. Recitava un proclama del club: “Valentino fu un adoratore delle donne e costoro per gratitudine, debbono a loro volta adorarlo. Affermare che egli fu un volgare donnaiolo, significa calunniarlo: bisogna conoscere la vita di lui per convincersi che fu il suo amore per le donne che lo condusse così giovane alla tomba”.